Alle movimentazioni bancarie di prelevamento e di versamento la legge tributaria collega, rispettivamente, acquisti e vendite in “nero” che recupera a imposte, dirette e IVA, se non sono riscontrate in contabilità o non si dimostra l’esclusione dalle stesse.
La modifica riguarda l’applicazione delle presunzioni legali relative contenute agli articoli 32 del DPR 600/’73 e 51 del DPR 633/’72 in applicazione degli autonomi e delle piccole imprese in contabilità semplificata. In vero, già da tempo la Prassi (Circolari n. 25E del 6/8/2014 e n. 16E del 28/04/2016) e la giurisprudenza (sentenza CTP di Salerno n. 4987 del 19/10/2015 e sentenza CTR di Torino n. 873/31/14) si sono espresse a favore di un’applicazione delle presunzioni legali, fissate a salvaguardia della pretesa erariale, secondo logiche di proporzionalità e ragionevolezza, avulse da un acritico automatismo e ricorrendo, in via prioritaria, alla collaborazione del contribuente e alle dimostrazioni che questi potrà addurre a titolo di giustificazione.
I due articoli indicati, l’art. 32 del DPR 600/’73 per le imposte dirette e l’art. 51 del DPR 633/’72 per l’imposta IVA,dispongono che i dati ed elementi attinenti ai movimenti bancari sono posti a base delle rettifiche e degli accertamenti previsti dagli articoli 38, 39, 40 e 41 del DPR 600/’73 e dagli articoli 54 e 55 del DPR 633/’72 se il contribuente non dimostra che ne ha tenuto conto nelle scritture contabili per la determinazione del reddito o volume d’affari soggetto ad imposta oppure che non hanno rilevanza allo stesso fine.
A fronte di tale tenore letterale gli Uffici dell’Amministrazione Finanziaria nelle attività di verifica e accertamento hanno sempre applicato in modo rigido tali disposizioni a discapito delle piccole imprese in contabilità semplificata che dallo stesso conto corrente, su cui il reddito prodotto e dichiarato assume la sua forma monetaria, effettua prelevamenti sia per l’esercizio dell’attività di impresa, sia per esigenze di spesa personali.
In tale fattispecie e alla luce del disposto normativo, chiara è la difficoltà di ricordare e dimostrare il beneficiario di spese personali a distanza di anni, il che vuol dire essere costretti alla “Probatio diabolica”. Per tali motivi, oltre alle raccomandazioni diffuse attraverso le circolari interne, il legislatore ha introdotto la raccomandata “proporzionalità” e “ragionevolezza” attraverso previsioni normative con valore di legge e in misura chiara.
Infatti, attraverso i paletti di euro 1.000,00 per movimentazione ed euro 5.000,00 al mese, la norma punta a limitare la presunzione di operazione in nero oltre importi che normalmente possono rientrare nell’ordine delle spese personali.
È bene ribadire che i limiti valgono solo per i prelevamenti e non anche per i versamenti, per i quali continuano a valere le presunzioni esistenti se non si dimostra la provenienza.
Per i professionisti, in verità, il problema, dopo la sentenza N. 228 del 2014, non si pone più il problema già da tempo, in quanto la presunzione è stata dichiarata incostituzionale a prescindere dall’importo.
Per fare un esempio, dunque, se un contribuente, nell’arco di un mese, preleva un importo di 900 euro per tre volte, non ci saranno effetti presuntivi qualora non siano rilevati in contabilità e non si sappiano fornire le indicazioni sui fornitori.
Invece, se preleva per un totale superiore a 5.000,00 euro, sembrerebbe che l’effetto presuntivo dovrebbe operare sull’importo che supera i 5.000 euro. Tanto vale se le operazioni siano compiute su un unico conto corrente che su più conti correnti.
Nulla cambia per il resto: tanto ai fini IVA quanto ai fini delle dirette e, in sostanza, per tutti i contribuenti lavoratori autonomi inclusi, rimane l’effetto presuntivo derivante dai versamenti non giustificati.
PER I PROFESSIONISTI
L’emendamento al Decreto fiscale 193/2016, all’interno del pacchetto semplificazioni, prevede l’abolizione della presunzione legale che gli accrediti sui conti bancari non giustificati dei professionisti siano compensi evasi e l’applicazione della presunzione legale relativa ai prelevamenti delle imprese ai soli importi superiori a 1.000 eurogiornalieri e 5.000 euro mensili, avente lo scopo di arginare il “fenomeno del nero” e dell’evasione fiscale.
La presunzione sui prelevamenti quindi è ancora vigente per le imprese, solo per i prelievi che superano gli importi sopra indicati, ma la sua applicazione risulta problematica, in quanto trasforma costi in ricavi senza consentire il riconoscimento dei primi (tranne che in sede di accertamento induttivo) e costringe i contribuenti a fornire la prova della destinazione di somme solitamente relative a un gran numero di operazioni.
Si ritiene comunque possibile fornire la prova contraria dimostrando la loro coerenza con il tenore di vita rapportato al volume d’affari dichiarato (circolare 32/E/2006).